Una delle parole più sentite e ripetute nel mondo dello sport è sicuramente “contratto”: trasferimenti, sponsorship, licenze, tra i più comuni. Qualunque movimento di atleti o sponsor presuppone un accordo, un contratto appunto, ma quando si entra nel campo del motorsport, con la sua esclusività data anche dal numero limitato di sedili a disposizione ogni stagione, la parola “contratto” significa esserci ed essere davvero in gioco. Ma chi è a definire “i contratti” e a consentire alle parti di trovare un accordo che soddisfi e tuteli gli interessi, ma al contempo mitighi i rischi, di ciascuno? Gli avvocati. L’Avvocato sportivo Figura tanto sconosciuta, per la sua presenza dietro le quinte, quanto fondamentale, l’avvocato ha un ruolo cruciale anche nello sport, nonostante la sua presenza sia nota quasi solo dietro le quinte, agli addetti ai lavori. Per capire come l’ambito legale incontri lo sport, abbiamo chiesto all’Avv. Riccardo Giacomin dello Studio Bergs&More di raccontarci la sua storia professionale e di svelarci retroscena e consigli per chi vuole intraprendere questa carriera.
FUORI TRAIETTORIA – Ciao Riccardo, vista l’ampiezza e l’indeterminazione che circonda la tua figura professionale, iniziamo con lo spiegare esattamente di cosa ti occupi?
AVV. RICCARDO GIACOMIN – Certo! Io sono un avvocato, socio di uno Studio internazionale che al proprio interno ha un dipartimento interamente dedicato allo sport del quale sono responsabile. Il mio percorso quale “avvocato sportivo” inizia formalmente nel 2017, quando la mia professione di avvocato si è ufficialmente indissolubilmente legata alla mia grande passione, lo sport. Ma ha radici più lontane. Ho sempre creduto nella necessità di una professionalizzazione dell’attività legale nella sport industry secondo il modello tracciato negli Stati Uniti, convinto che conoscere i meccanismi, le logiche e le specifiche strutture di un mondo così peculiare ed in continua evoluzione possa solo portare valore aggiunto alla tutela degli interessi delle parti coinvolte. Così, quando nel precedente studio in cui collaboravo mi è stata offerta la possibilità di fondarne la relativa divisione sport, ho immediatamente colto l’occasione per lanciarmi in questa sfida con un focus principalmente su cinque ambiti: il calcio, golf, ciclismo, grandi eventi e poi appunto il motorsport che rappresenta anche una mia grande passione. Da qui l’evoluzione è stata veramente vertiginosa perché siamo stati premiati (l’anno scorso l’Avvocato Giacomin è stato premiato come Professionista Sport dell’Anno da Top Legal Awards sulla base, tra gli altri, anche di un significativo incarico nell’ambito del motorsport ndr) da una crescita incredibile, soprattutto in quest’ultimo ambito del motorsport dove abbiamo espanso la nostra clientela fino a coprire sostanzialmente tutta la filiera; dai soggetti istituzionali fino a singoli piloti, passando per team, organizzatori di eventi, sponsor, rights holders…
Una precisazione per quanto riguarda i piloti: noi li seguiamo sempre unicamente dal punto di vista legale e fiscale, ma mai con riferimento al loro management. Per una precisa scelta, anche al fine di evitare situazioni di potenziale conflitto di interesse con i team che assistiamo, non ci occupiamo di management nel senso proprio del termine.
FT – Quindi voi affiancate i manager?
RG – Sostanzialmente sì, i singoli manager e spesso le società di management, a seconda dei settori.
FT – Quindi il vostro studio ha una divisione sportiva o è solo incentrato sull’ambito sportivo?
RG – Il nostro Studio, come tutti gli Studio delle medesime caratteristiche, si occupa anche dei settori tradizionali (diritto societario, commerciale, giudiziale, compliance, ecc.) mediante i professionisti che operano al suo interno suddivisi per dipartimenti di competenza di modo da garantire la massima specializzazione in ogni materia.A giugno 2021, con altri colleghi, abbiamo fondato una nuova realtà internazionale, Bergs&More, che ha sede a Milano, Padova, Dubai, Doha, Nairobi e un altro paio di sedi di prossima apertura a Mosca e Londra. La nostra vocazione è internazionale, e la divisione sportiva opera principalmente su questo filone con i nostri clienti consolidati e quelli che via via acquisiamo.
FT – Mi raccontavi che per te è stato un piacere unire la tua passione per il Motorsport alla tua professione di avvocato. Ma quale è arrivata prima, la passione per lo sport o quella per la legge?
RG – Ah, sono due cose che sono cresciute di pari passo! Sin da bambino, sono sempre stato un appassionato di sport e i primi ricordi legati al motorsport sono le gare viste sul divano con papà e nonno a cavallo fra gli Anni ‘80 e gli Anni ‘90, visto che sono dell’86. A queste si sono aggiunte le gare viste dal vivo con loro, quindi posso dire che la passione per il Motorsport ce l’ho veramente dall’infanzia. Ma sin da bambino ho anche sempre pensato di fare l’avvocato, così mi raccontano i miei genitori ed effettivamente questi sono anche i miei ricordi! Quando ho scoperto queste due cose avrebbero potuto convivere e diventare la mia reale professione, ho fatto centro!
FT – Prima parlavi delle varie sedi sparse in tutto il mondo, immagino che sia per questioni sia logistiche, che legali e la domanda che mi viene da farti a tal proposito è: secondo la Legge di quale Stato viene stipulato un contratto in ambito sportivo?
RG – Dipende. Dalle parti, dai collegamenti con uno o l’altro ordinamento, e dalla loro volontà generalmente, ma può variare anche a seconda di altri fattori. In tantissimi casi si opta per una “legge terza”, tendenzialmente, quella inglese poiché dà ampio spazio all’autonomia contrattuale delle parti. È un ordinamento giuridico che conosco piuttosto bene in quanto ho conseguito il mio master in International Sport Law in UK e in Studio vari colleghi sono avvocati inglesi abilitati: la capacità di operare su più giurisdizioni e/o conoscere più Diritti è senz’altro un plusvalore nel servizio che offriamo al Cliente e che ci permette di assisterlo a 360°.
FT – Visto che hai parlato della tua formazione, avrei una domanda proprio su ciò: per fare questo mestiere ci vuole una conoscenza teorica e una formazione alla base, ma ci sono anche delle capacità relazionali, di trattativa e di lungimiranza che devono essere sviluppate personalmente nel corso nel tempo. Come si può sviluppare o, comunque, che consiglio ti sentiresti di dare a chi vuole intraprendere questo mestiere?
RG – Sicuramente ci vuole passione, tantissima preparazione e una buona capacità commerciale, relazionale e organizzativa. Io ho un team di professionisti, specializzati nella materia, che lavora con me e tutti con un ruolo fondamentale per poter assistere i Clienti al meglio. Ovviamente il mio ruolo di socio e responsabile del dipartimento impone anche di curare tutta la parte commerciale e di rapporto con la clientela, capire le esigenze del Cliente, individuare la soluzione tecnica più efficace e portare a casa il risultato giocando in squadra sia col cliente che coi miei colleghi. La comprensione del cliente e delle sue esigenze è un elemento cruciale, bisogna bilanciare la componente professionale e quella commerciale facendo sì che il mix sia il più equilibrato possibile: questo sicuramente è un suggerimento che posso dare.
FT – Dicevi poco fa che la tua figura è diversa da quella di un manager sportivo, ma qual è l’influenza che si ha negli accordi?
RG – La cosa molto bella del nostro mestiere è che diamo un supporto anche in fase negoziale ai nostri clienti nella fase delle trattative. Ci mettiamo al fianco del nostro Cliente e lo guidiamo e supportiamo nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Operiamo in vista del risultato finale che il nostro cliente ci chiede di raggiungere: non siamo, però, noi a dire che, ad esempio, quella cifra è corretta o sbagliata perché quella è una tematica commerciale propria del management. Le dinamiche poi sono estremamente varie e si basano anche sul rapporto di fiducia instaurato con il Cliente; più è profondo più si riesce ad operare come una vera e propria squadra, ognuno con il suo ruolo, per il conseguimento dei risultati prefissati.
FT – E immagino che una delle parti più difficili di questo mestiere sia proprio acquisire i primi clienti: come si approcciano e come si convincono ad affidarsi al vostro Studio?
RG – La dinamica è particolare e dipende anche dalla tipologia di cliente. Alcuni di loro sono strutturati e maturi rispetto all’esigenza legale per cui consapevoli del plusvalore offerto da uno Studio legale specializzato; altri possono essere di diverso avviso o con necessità di investimenti ridotti. In questo secondo caso il nostro compito è quello di accreditarci come figure capaci di tutelare il Cliente da controversie e futuri esborsi generandogli un crescente utile nel medio-lungo termine. Se nella cultura inglese questo è già largamente accettato, in altri Paesi è tema sensibile che va costruito nel tempo e dimostrando “sul campo” l’utilità di un certo tipo di diverso approccio alla tematica legale.
FT – Una delle cose che più mi incuriosisce, se puoi parlarne, è una delle clausole più strane che ti sia capitata di dover inserire in un contratto.
RG – Confesso che le bizzarrie sono rare. I contratti sono spesso standardizzati, nonostante una serie di clausole siano sempre oggetto di negoziazione. Sicuramente gli aspetti più curiosi sono legati a dei “capricci” (tipo la messa a disposizione di un jet-privato, piuttosto che alcune considerazioni legate alla scelta dei compagni di squadra), più che a delle considerazioni sostanziali, anche se c’è da dire che nel motorsport il Cliente è generalmente consapevole e poco “bizzoso”.
FT – Questa cosa della consapevolezza degli atleti nel Motorsport sta uscendo fuori da più interviste ed è molto bello perché spesso si considerano come più viziati di altri sportivi perché impegnati in uno sport che è oggettivamente molto elitario e costoso. È bello sapere che, invece, sono più “con i piedi per terra”.
RG – Sì, secondo me è anche frutto di una formazione che hanno e che li porta ad avere anche una mentalità più aperta. Pensiamo solo alla tematica linguistica: per un pilota è fondamentale maneggiare perfettamente la lingua inglese perché è estremamente difficile che ci siano team dove si parli la sua lingua o che possa svolgere tutta la sua carriera con degli ingegneri che parlino la sua lingua, quindi anche solo questo aspetto, unitamente al fatto che devi necessariamente avere anche delle competenze di tipo tecnico per poter interpretare certi dati o fornire determinati feedback agli ingegneri, porta il pilota ad avere un certo tipo di formazione e ampiezza mentale.
Sicuramente, a livello di 4 ruote, nella stragrande maggioranza dei casi sono delle persone con delle grandissime disponibilità economiche, ma sono anche persone che sanno perfettamente che con le loro stesse possibilità economiche ce ne sono tanti altri e che i sedili a disposizione al massimo livello sono 20. C’è già una selezione di base importante da questo punto di vista, però resto dell’idea che, come in tutti gli sport, senza sacrificio e impegno anche nel motorsport non si arrivi da nessuna parte.
FT – Dalla tua esperienza, è più semplice lavorare con atleti giovani o già affermati?
RG – In realtà, devo dire che non trovo grandi differenze da un punto di vista dell’impegno lavorativo, ma ci sono stimoli diversi. Con un atleta più giovane c’è l’adrenalina di costruire un qualcosa assieme, di sviluppare reciprocamente le proprie carriere perché magari alla sua crescita corrisponde anche la tua e viceversa. Mentre con atleti più maturi si vive la gestione di maggiori criticità legate all’immagine pubblica o ai molteplici aspetti da tutelare e considerare nelle negoziazioni.
FT – Cosa troviamo fra le situazioni più antipatiche che possono capitare?
RG – Quando si arriva ad inadempimenti contrattuali, le situazioni di conflitto diventano inevitabili. Sono situazioni antipatiche perché si creano, ovviamente, tensioni e malumori, però anche qui secondo me la capacità di bravi legali, da ambo i lati, sta nel trovare una buona chiusura che accontenti le parti, evitando le lungaggini di un giudizio e i relativi costi. La filosofia è sempre che è meglio una buona transazione piuttosto che delle lunghe sfide processuali. C’era un detto a proposito degli avvocati: “causa che pende, causa che rende”: diciamo che noi siamo proprio dell’avviso apposto, nel senso che vogliamo dare sempre al cliente la soluzione più veloce e meno dispendiosa possibile, poiché il vero guadagno è avere un cliente soddisfatto che continuerà ad affidarsi a te.
FT – In Italia non si può rivelare il nome dei propri clienti, perché?
RG – Perché noi avvocati dobbiamo sottostare a quelle che sono le regole del nostro Codice Deontologico. Diciamo che il primo motivo per cui un legale non rivela i nomi dei propri clienti è per una ragione di confidenzialità, ma anche laddove il cliente fosse d’accordo, in Italia non è permesso pubblicizzare questi rapporti, anche se esauriti. Si possono fare nomi quando diciamo che diventa cronaca. Allo stesso modo, ad esempio, è impedito farsi pubblicità come negli Stati Uniti e questa è una cosa sulla quale sono anche d’accordo perché credo, comunque, sia una professione che debba mantenere un certo standing e preservare la confidenzialità sotto tutti i punti di vista.
FT – E se invece un cliente volesse dire da chi è rappresentato, potrebbe?
RG – Assolutamente sì, lo può fare. La grande parte acquisitiva dei clienti viene dal passaparola, da clienti che sono stati soddisfatti e ti consigliano ad altri, ma anche se in ambienti molto chiusi e piccoli come può essere il motorsport, talvolta è un po’ più complesso perché spesso all’interno di questo microcosmo molti sono competitor.
FT – Una curiosità sulla RedBull: c’è questo scambio continuo di piloti fra la Red Bull e l’Alpha Tauri, come può essere permessa questa cosa dal punto di vista dei contratti?
RG – Molto probabilmente vengono stabilite delle clausole contrattuali all’interno dei contratti dei piloti dove viene espressamente stabilita questa possibilità unilaterale a favore del team, ovvero la discrezione del team di allocare i piloti in una scuderia piuttosto che in un’altra, considerando anche che sono sostanzialmente riconducibili a un’unica proprietà.La stessa cosa, ad esempio, di Mick Schumacher: quest’anno avrà il duplice ruolo di pilota titolare di Haas, nonché di reserve driver della Ferrari, sicuramente nel contratto in essere tra le varie parti è stato stabilito che, laddove ci fosse la necessità, la Ferrari potrà impiegarlo come proprio pilota e la Haas dovrà a sua volta a cercare un sostituto.
FT – Per poco non si è chiuso l’accordo fra Sauber e Andretti e quindi è tornata un po’ alla ribalta la “ventata di Indy” che si sta muovendo sul mondo della Formula 1 e delle classi minori, anche perché molti piloti di F2 e F3 spesso guardano agli USA come una valida alternativa alla Formula 1 poiché non c’è posto per tutti. Dalla tua esperienza, come vedi il futuro del rapporto fra queste due realtà?
RG – Io lo vedo sicuramente positivo! c’è da dire anzitutto che già in passato c’erano stati di passaggi di piloti europei verso gli Stati Uniti tra i casi più eclatanti ricordiamo Mansell e Zanardi entrambi capaci di vincere il campionato. Tuttavia, tranne queste eccezioni, questi passaggi non hanno sempre dato i frutti che si speravano. Ora i tempi sono cambiati e forse sono più maturi, nel senso che aiutano anche le situazioni “collaterali” che ci sono: Formula 1 ha proprietà americana, la Indy ha un nuovo proprietario, il noto imprenditore americano Roger Penske. Diciamo che ci sono tutti i presupposti perché questo link tra Stati Uniti e Formula 1 diventi sempre più forte. Io ho il privilegio e la fortuna di lavorare anche in Indy e quindi di conoscerla abbastanza da vicino. Mi sento di dire che anche lì c’è un ricambio generazionale in atto ed è un ambiente che si sta molto svecchiando, può diventare interessante per piloti che vengono dalle formule minori approcciarsi a questo mondo e, perché no, magari dopo aver dimostrato il loro valore negli Stati Uniti anche ritornare in Europa. Si potrebbe creare un ponte molto interessante che contribuirebbe anche a far ulteriormente avvicinare il mercato americano alla Formula 1, considerando anche che dall’anno prossimo ci saranno due GP negli Stati Uniti. A mio avviso, anche a causa degli orari delle gare, il consumatore americano non sarà un consumatore abituale, però potrebbe essere sicuramente un consumatore anche a spot molto molto interessante.
FT – Anche perché negli Stati Uniti la concezione di sport è diversa, più “intrattenimento puro”.
RG – Sì, è un mercato che dal punto di vista dello sport e dello sport business è affascinantissimo, gestito da veri manager dello sport, dall’altro lato lo sport è anche entertainment e l’approccio, anche televisivo, è diverso.
Nella mia esperienza di Motomondiale e MotoGp non posso che augurarmi che gli orizzonti commerciali nel post-Valentino si amplieranno avvicinandosi allo stile americano. Gli USA sono terra di grandi appassionati e sarebbe finalmente l’ora che si affacci nuovamente alla ribalta qualche pilota americano competitivo, l’ultimo è stato Nicky Hayden…
Dal punto di vista delle quattro ruote, si sta facendo veramente tanto: oltre alla F1 che guarda sempre di più al mercato statunitense, non va dimenticato quanto accaduto con la “convergenza” tra IMSA ed ACO a Daytona con la conseguente possibilità per i concorrenti di prendere parte con la stessa vettura all’IMSA WeatherTech SportsCar Championship e FIA World Endurance, fondamentale per un rilancio dei campionati prototipi con la categoria LMDH che vedrà sfidarsi i principali costruttori mondali con aumento di sponsor e spettatori.
FT – Avvocato, qualcosa da aggiungere? Qualche argomento che ti piacerebbe approfondire?
RG – Solo una cosa riguardo al contenzioso: abbiamo parlato di evitare le conflittualità, ma talvolta diventa inevitabile. Qui si apre un mondo estremamente interessante legato al contenzioso sia commerciale (quindi nelle Corti Ordinarie o Arbitrali) oppure sportivo, davanti alle istituzioni sportive delle varie federazioni nazionali e internazionali, fino ad arrivare al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna. Ci sono delle dinamiche tanto affascinati anche lì di strategia processuale, sempre nel tentativo di dare il massimo vantaggio e la migliore assistenza al cliente.
FT – E tu invece passeresti mai in un TAS o comunque qualcosa diverso dal lavoro che stai facendo ora?
RG – No, devo dire che io realmente amo il mio lavoro, nonostante i sacrifici che talvolta richiede, visto che passo quasi più di metà anno fuori casa. Quello che faccio mi dà molta adrenalina, anche perché nello sport anche le azioni processuali hanno tempistiche molto molto più ridotte. Poi anche l’aver contribuito ad aiutare il tuo Cliente è di enorme soddisfazione poiché ci si sente parte del team accanto ai tecnici e ai piloti… si gioisce con loro quando si vincono le gare e i campionati. Insomma, senti di aver dato il tuo contributo per una causa comune e questo è impagabile!
FT – Insomma, piccolo contributo, ma non troppo! Senza contratto non si corre…
RG – Diciamo che senza degli accordi non ci sarebbe niente! La figura degli avvocati, nonostante sia nell’ombra, è un tassello fondamentale per tutta la rete di connessioni e per prevedere tutte le criticità che possono ostacolare il lavoro di un ottimo atleta o di un Team intero!