Il 25 luglio 2024, a seguito di un lungo e complesso iter legislativo, è entrata in vigore la Direttiva 2024/1760, meglio nota come “Corporate Sustainability Due Diligence Directive” o “CS3D” (anche la “Direttiva”) su cui la Commissione Europea, in pari data, ha già avuto modo di fornire le prime “Frequently asked question”[1].
La Direttiva stabilisce norme in materia di: (i) obblighi di diligenza rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e l’ambiente; (ii) adozione e attuazione di un piano di transizione climatica.; (iii) responsabilità derivante dalla violazione di tali obblighi.
Rispetto all’originario testo della proposta di Direttiva della Commissione Europea, essa evidenzia molteplici differenze, a partire dall’ambito applicativo. Infatti, la CS3D ha notevolmente innalzato le soglie superate le quali le società costituite in conformità della normativa di uno Stato membro (“società UE”) e le società costituite in conformità della normativa di un Paese terzo (“società non-UE”) sono obbligate. Più precisamente, rientrano nello scope della Direttiva, a prescindere dalla industry di appartenenza, le seguenti società (anche “società obbligate”):
le società UE con più di 1000 dipendenti e un fatturato netto globale superiore a 450 milioni di euro nell’ultimo esercizio per il quale è stato redatto il bilancio, e le società capogruppo che, su base consolidata, abbiano raggiunto tale limite;
le società non-UE che abbiano raggiunto un fatturato netto nell’Unione Europea superiore a 450 milioni di euro nell'esercizio precedente l'ultimo esercizio, e le società capogruppo che, su base consolidata, abbiano raggiunto tale limite;
le società UE e non-UE che abbiano concluso accordi di franchising o di licenza nell’Unione Europea in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti, purché operino nell’Unione Europea con un fatturato superiore a 80 milioni di euro, i diritti di licenza siano superiori a 22.5 milioni di euro, e tali accordi garantiscano un’identità comune, un concetto aziendale comune e l’applicazione di metodi aziendali uniformi.
Viene meno riferimento ai settori ad alto impatto che - nel testo della proposta - era nozione che determinava un'estensione dell'ambito applicativo della Direttiva.
Alla luce dei nuovi criteri dimensionali la Commissione Europea ha stimato che le società obbligate siano complessivamente 6900 (6000 società UE e 900 società non UE)[2], vale a dire meno della metà del numero previsto sulla base del testo della proposta di Direttiva.
Le società così individuate dovranno adeguarsi agli obblighi previsti rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente generati dalla loro attività, intesa non solo come l’attività svolta dalle società medesime o dalle loro filiazioni, ma anche dai loro partner commerciali appartenenti alla “catena di attività”. Precisamente, la “catena di attività”, locuzione che è andata a sostituire la nozione di “catena del valore” prevista nel testo della proposta di Direttiva, ricomprende le attività dei partner commerciali a monte e a valle di una società obbligata, vale a dire:
produzione di beni o prestazione di servizi, compresi la progettazione, l'estrazione, l'approvvigionamento, la produzione, il trasporto, l'immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti di prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio;
distribuzione, trasporto e immagazzinamento del prodotto, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per o a nome della società obbligata.
Rimangono, invece, escluse le attività di stoccaggio, smantellamento, riciclaggio, compostaggio o conferimento in discarica, ricomprese, invece, nella nozione di “catena del valore” contemplata nel testo della proposta.
Passando al contenuto degli obblighi, le società obbligate saranno tenute a esercitare il dovere di diligenza basato sul rischio in materia di diritti umani e di ambiente mediante quelli che sono tipicamente gli strumenti della risk-based and compliance, vale a dire:
integrazione - previa consultazione con i dipendenti e loro rappresentanti - del dovere di diligenza nelle politiche e sistemi di gestione dei rischi, e predisposizione di una politica relativa al dovere di diligenza, recante tra l’altro una descrizione delle procedure predisposte e un codice di condotta;
individuazione e valutazione degli impatti negativi effettivi o potenziali tramite unsistema di mappatura e valutazione dei rischi;
prevenzione e attenuazione degli impatti negativi potenziali, con la predisposizione, se del caso, di piani d’azione in materia di prevenzione;
arresto degli impatti negativi effettivi e minimizzazione della relativa entità, con la predisposizione, se del caso, di piani d’azione correttivi;
riparazione degli impatti negativi effettivi;
instaurazione e mantenimento di un meccanismo di notifica e di una procedura per permettere a chi nutra un legittimo timore circa gli impatti negativi di una società o della sua filiera di presentare un reclamo;
monitoraggio dell'efficacia della politica e delle misure relative al dovere di diligenza;
comunicazione pubblica sul dovere di diligenza.
Nonostante gli obblighi di diligenza ricadano formalmente sulle sole società obbligate, le conseguenze della CS3D si ripercuoteranno sostanzialmente su tutte le società appartenenti alla loro filiera. Infatti, a seconda dei casi, le società obbligate dovranno:
richiedere a ciascun partner commerciale garanzie contrattuali quanto al rispetto del codice di condotta e, se necessario, dei piani d'azione in materia di prevenzione e/o correttivi;
richiedere ai partner commerciali di ottenere, a loro volta, dai rispettivi partner garanzie contrattuali equivalenti per le attività che rientrino nella “catena di attività” delle società obbligate;
astenersi dall'allacciare un rapporto nuovo o prolungare un rapporto esistente con un partner commerciale in collegamento con il quale o nella catena di attività del quale è emerso un impatto negativo;
sospendere temporaneamente o financo cessare i rapporti d'affari con un partner commerciale.
Quanto agli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, essi continuano ad essere individuati tramite il rinvio a strumenti internazionali e divieti e obblighi in essi contenuti.
Da ultimo, la Direttiva prevede dei meccanismi di enforcement che dovrebbero incentivare l’adeguamento agli obblighi in essa contenuti. In particolare, sono previste sanzioni di carattere pecuniario che, nella versione definitiva del testo, sono agganciate al fatturato netto mondiale della società (con un limite massimo non inferiore al 5% del fatturato netto mondiale della società) e il meccanismo di naming and shaming che incide sulla reputation della società sanzionata. È inoltre prevista la responsabilità civile della società sia UE quanto non UE in caso di inosservanza degli obblighi della Direttiva da cui sia derivato un danno.
Come accennato, il 25 luglio u.s. la Direttiva è entrata in vigore ed è così iniziato a decorrere il termine di due anni a disposizione degli Stati membri per il suo recepimento. Parimenti, sono iniziati a decorrere i termini per l’adempimento degli obblighi da parte delle società obbligate che variano dai tre ai cinque anni a seconda del fatturato netto e/o numeri di dipendenti.
Nonostante l’apparente lungo arco temporale a disposizione, le società obbligate nonché le società parte della loro filiera sono chiamate, dunque, quanto prima ad attivarsi per implementare tempestivamente i sistemi di due diligence richiesti dalla Direttiva.
[1] Le “Frequently asked question” sono consultabili cliccando l’apposito link in calce alla pagina https://commission.europa.eu/business-economy-euro/doing-business-eu/sustainability-due-diligence-responsible-business/corporate-sustainability-due-diligence_en.
[2] Sito ufficiale della Commissione Europea, visitato in data 12.07.2024
Autore: Beatrice Facci
Contatto: Avv. Luisa Romano l.romano@bergsmore.com